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Giornata mondiale del migrante, giustizia per Wissem Abdel Latif

Come lavoratrici e lavoratori del sistema della accoglienza, come lavoratrici e lavoratori del sociale, come compagne e compagni della Cgil, nella #GiornataMondialedelMigrante, non possiamo evitare di schierarci sul caso di Wissem Abdel Latif costretto alla migrazione dal suo paese, respinto e rinchiuso in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) e morto in un letto di contenzione in un reparto psichiatrico di un ospedale. Sono molti gli aspetti su cui la morte di Latif obbliga noi tutti a riflettere e che troppo spesso sono relegati ai margini del dibattito pubblico. In primo luogo la necessità di cambiare le leggi sull’immigrazione di questo paese, superare l’ attuale impianto di natura razzista e sicuritario e costruire un sistema di accoglienza non emergenziale e per la integrazione delle donne, degli uomini, dei bambini, costretti a migrare dal proprio paese per sfuggire a fame e povertà e conquistare un futuro. La non più derogabile esigenza di chiudere i CPR, luoghi di detenzione e sospensione dei diritti. Ai suoi compagni di stanza e detenzione, Latif aveva raccontato di essere stato picchiato  all’ interno del CPR proprio perché si lamentava delle condizioni degradanti a cui era sottoposto lui e sono sottoposti tutti i respinti. 

In ultimo ci dobbiamo interrogare sull’ uso della contenzione meccanica e farmacologica delle persone nei reparti di psichiatria. Latif è stato sottoposto a contenzione meccanica, legato ad un letto per 5 giorni fino a morire. Ricoverato prima per due giorni al  Spdc (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura) dell’ ospedale Grassi, trascorsi legato al letto, e poi trasferito allo stesso reparto del San Camillo dove ha passato legato i suoi ultimi 3 giorni di vita. Vita che doveva essergli restituita perché mentre era legato un giudice aveva respinto il provvedimento di respingimento.
Nonostante l’ epocale legge 180 ancora sono pochissimi i reparti psichiatrici che non adottano la contenzione, appena 21 in tutta Italia e i servizi territoriali non sono in condizione di operare. Pensiamo che si debba investire nella psichiatria, che ci sia necessità di personale competente  e servizi territoriali sempre aperti che possano e sappiano intervenire prima che il disagio sfoci nella crisi. 
In ultimo, dobbiamo ribadire con forza che nessuna istituzione è esclusa da responsabilità quando una persona che si trova in mano allo Stato muore. Come nei casi di Mastrogiovanni, di Stefano Cucchi, di Federico Aldrovandi e delle tante e tanti, dei sempre troppi, sulle cui morti e necessario indagate, svelare responsabilità e cambiare leggi, procedure, modalità operative che consentono e causano queste morti di Stato .